Ringraziamo il Professor Roberto Celada Ballanti, ordinario di Filosofia della Religione all’Università di Genova, che ci ha mostrato il volume “Poetiche all’ombra del nichilismo, Montale, Mann, Borges”, e per la generosità con cui ci riporta alla centralità della nostra presenza e ci incita a mantenere vivo il desiderio del Sapere, affinché la complessità reale non lo estingua. L’intervista è diretta da Patrizia Trimboli, sociologa e poeta.
Del libro
La rappresentazione delle “Poetiche” si apre con la figura di E. Montale, un poeta capace di scrutare più a fondo l’intrico, la palude, il nulla del nostro Novecento. Montale era chiuso nelle immobili mani dell’impersonalità, nella sobria asciuttezza dei suoi ossi di seppia dai quali filtra la luce attonita, esiliata, della poesia. Bisogna scendere le scale dei gorghi, mostrare a dito l’oscurità delle creature, pausata dalla lievità tra silenzi e silenzi - nel profondo del cuore. “Ossimoro permanente”: la muta parola. Dire nel silenzio una vecchia parola - “la parola/qualche cosa che approssima ma non tocca”. L’istante della soglia è il luogo del poema: la via invisibile verso l’aperto.
Seconda scena letteraria.
Le pagine del Faust di Goethe saranno, recita P. Valery: “strumenti dello spirito universale: esse al di là da ciò che furono nell’opera dell’autore. Egli ha dato loro ‘funzioni’ più che parti; le ha consacrate per sempre all’espressione di taluni estremi dell’umano e dell’inumano; e, quindi, svincolate da ogni avventura particolare”. Un capolavoro “incommensurabile” che ha avuto un significato per la civiltà e per molti scrittori a venire.
Qui, Roberto Celada Ballanti interroga il Doktor Faustus (1947), scandaglia la seduzione del nulla, il pathos del tempo, del demoniaco, della profondità dell’irrazionale, raffigurando l’ambiguità di Thomas Mann, un’ambiguità che non può essere sintesi. La reale cultura di Mann è rimasta congiunta a quella dell’Ottocento tardo romantico, nella galassia Schopenhauer-Wagner-Nietzsche. Adrian è un grande personaggio dell’Ottocento.
Le tre scene letterarie evocate da Roberto Celada Ballanti si concludono con l’attenzione ad un poeta significativo: J. L. Borges.
Poeta dell’essenziale e della disumanità, Borges, modella l’idea di realtà rendendola inaccessibile nella sua trama, nella sua verità, obbligandola a vivere in un gioco labirintico ed entropico, lasciandoci nell’esitazione - al suo limite, in “quello specchio che ci rivela la nostra propria faccia – come recita in una quartina a rima incrociata. (Poesia: “Arte poetica”)
Leonardo Sciascia attraversa l’opera di Borges, lo interroga, e il poeta gli suggerisce: “Desidero dimenticare ed essere dimenticato”. Non stupisce. Scrive Sciascia sul Corriere della Sera”: “Per lui la storia non è che l’assurdo corollario di quella più vasta e spaventosa assurdità che è il tempo. E arriva al punto da desiderare che si sperda o si consumi, il tempo, almeno sul suo nome, sul suo ricordo, sulle sue pagine: una volta scontatolo nella vita e con la vita”. “Teologo ateo”, lo aveva nominato nell’articolo (30-9-1979), poiché voce della contraddizione della sua contemporaneità. Vanità e fatuità dell’esistere hanno segnato le pagine dei suoi libri “sempre nell’ “imminenza di una rivelazione che non si produce”. Ciò che resta nell’ombra è l’enigma delle cose, che la mano dei poemi mai raggiunge. Le cose sono colte dal lume del luogo dove stanno: l’eternità e non nei versi dei poeti. Colpa, male, sono nella forma annichilita, nei fugaci moti del cuore, che si incapricciano all’eternità e alla rifrazione del nulla. Kafka, in una lettera a Ottla, scriveva: “eppure sì, sono solo, perché non ho risposto con amore”.