E poi, o forse prima, c’è l’Ombra: secondo Jung il livello più profondo e più inaccessibile dell’inconscio; la zona in cui vengono sedimentati gli aspetti della personalità più tenacemente disconosciuti e rimossi;
il risvolto del conscio, inseparabile da esso, il suo inscindibile gemello che va riconosciuto, accettato e persino abbracciato, se si vuole condurre un’esistenza all’insegna della pienezza.
Quelle fotografate da Pino Lia sono ombre dell’Ombra: sono letteralmente, concretamente ombre, proiezioni opachedi corpi disposti in
modo registico contro luce, corredate da elementi scenografici e simbolici allo stesso tempo; ombre di ipotetiche figure
primordiali che sembrano in alcuni casi appartenere a delle incisioni rupestri o a certa pittura vascolare dell’antica Grecia; ombre ricercatamente oblunghe, come quelle con cui nell’immaginario orfico venivano rappresentate le anime dell’ oltretomba, che qui però si stagliano su distese di sabbia che ci fanno percepire il mare, ambito per antonomasia della nascita e, nel caso di questo specifico mare, il Mediterraneo, della nascita del mito. Ciò di cui in fondo sono il risvolto, tuttavia è qualcosa a metà tra il fiabesco e l’ ancestrale, l’istintivo e il temibile, lo spontaneo e l’inevitabile; qualcosa che assomiglia tanto all’Ombra: a una bella Ombra.
Roberto Borghi