Ha coltivato l'interesse e la pratica della pittura a partire del 1971, avendo come amici e maestri Antonio Arosio, Pietro Gentili e Luigi Stradella. A suo avviso, la pittura è un fare che si apprende essenzialmente vedendo le opere di coloro che ci hanno preceduti, questa circostanza è ancora più felice se la conoscenza delle opere nasce da un autentico sodalizio, da consuetudini amicali.
Come poeta ha pubblicato diverse sillogi, tenuto conferenze e seminari.
Nel corso degli anni l'interesse per il sapere si è approfondito nell'ambito delle filosofie orientali, non solo in senso teorico – per anni si è dedicato all’attività dello shodō, l'antica arte della calligrafia – nella convinzione che l'esperienza e la pratica del segno e della scrittura affondino le radici in una vasta apertura verso ogni realtà spirituale.
DIPINGERE TRA PERCEZIONE E ONTOLOGIA
Nella mia ultima personale avevo cercato di approfondire la mia ricerca in relazione all’elemento Acqua, realizzando una serie di disegni preparatori e di opere su carta fino ad arrivare a grandi formati su tela. Operando in questo modo desideravo quasi prendere per mano chi guarda un quadro e mostrare come nasce e cresce una ricerca artistica.
La pittura ha una lunga storia, a partire dalle prime immagini prodotte dagli uomini primitivi sulle pareti delle caverne. Che significato avevano, o meglio a quale bisogno esistenziale rispondevano?
Cercavano di riprodurre in modo ingenuo la realtà, oppure erano già complesse rappresentazioni che possedevano un senso simbolico e apotropaico?
Che cosa davvero vede una persona che oggi si pone davanti a un quadro?
Che cosa vede, ma soprattutto che cosa si aspetta di vedere?
Di sicuro non basta vedere per essere un artista, ma occorre iniziare da lì. Forse occorre, dopo le tante esagerazioni dell’arte del novecento, ripartire proprio da questo punto: l’artista deve essere umile e insegnare all’uomo comune a guardare.
In questa epoca caratterizzata da un esasperato sviluppo tecnologico e dagli imperativi del consumo si insiste eccessivamente sulla ricerca della originalità, mentre l’essenziale è per un artista mantenere fede alla propria vocazione autentica di ideare per immagini. Vedere semplicemente ciò che cade sotto i nostri occhi non è ancora saper guardare.
Davanti a un volto, a un paesaggio naturale, l’artista è un apprendista del vedere: non dà nulla per scontato, ma inizia a guardare in modo differente, totale. Dall’invenzione della macchina fotografica, il compito dell’artista è radicalmente mutato: non può più essere la riproduzione attenta del reale, per la quale ormai esiste un mezzo specifico, ma altro. Che cos’è davvero questo Altro?
L’artista deve esprimere l’inesprimibile – deve riuscire a mostrare, direbbe Klee, ciò che comunemente non può essere veduto. Questo non visibile però procede dal visibile. Ogni artista inizialmente procede da qualcosa che ha visto – ci sono artisti che reinterpretano e reinventano ciò che hanno visto sulla base di ciò che sentono, ci sono altri artisti che vorrebbero spingere la capacità di visione quasi ai limiti del vedere. Personalmente considero miei padri Piero della Francesca e Turner: vorrei raccogliere la tensione metafisica del primo e la percezione sinestesica del secondo.
In questo modo, non semplicemente vedendo, ma osservando a lungo, l’artista inizia a vedere in modo nuovo – e da quell’osservare, con un lungo tirocinio, impara a produrre delle visioni. Che per essere vedute e godute, a loro volta dal pubblico, esigono una certa disponibilità, una reale apertura a osservare senza fretta né preconcetti. Ritengo che il titolo di un’opera possa essere utile a offrire chiavi di lettura che possono tutt’al più orientare chi già osserva con attenzione i dipinti, ma solo a condizione di capire che il linguaggio simbolico è per natura aperto e personale, per cui arriva il momento in cui occorre ascoltare la voce segreta della propria percezione singola e entrare nelle opere presentate mediante scorciatoie imprevedibili e uniche.
Esercitare il mestiere del dipingere significa interrogarsi e riflettere sul senso della propria presenza nel mondo, e contemporaneamente meditare su sé stessi. Credo che ogni autentico pittore senta il colore come vibrazione vivente. Dipingere significa accogliere dentro di me stimoli che vengono dal mondo esterno ma ricostruirli nella mia intimità.
Afferma Gino Zaccaria: “per entrare in rapporto con la poesia bisogna attuare una epoché, cioè una sospensione della validità delle comuni rappresentazioni del linguaggio”. Forse anche per vedere immagini significanti occorre procedere in modo simile: nella mia pratica pittorica perlopiù procedo per successive stratificazioni eppure sento insieme che l’opera si struttura da sé per elisioni, mediante uno progressivo svuotamento di ogni forma di attaccamento e avversione. Solo operando in questo modo la pratica della pittura è capace di condurre a una purificazione interiore che rende possibile la Contemplazione.