è nato a Tokyo (Giappone) nel 1958.
Nel 1985 si è diplomato alla Sokei Academy of Fine Arts di Tokyo.
Nel 1987 si trasferisce in Italia, a Milano.
Nel 1992 si diploma in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, con una tesi su Paolo Patelli. Ha studiato con Gottardo Ortelli, Paolo Minoli, Italo Bressan e Giovanni Accame.
Molteplici le mostre personali e le collettive in gallerie di prestigio, in ambito nazionale ed internazionale. Della sua opera si sono interessati e ne hanno scritto: Claudio Cerritelli, Flaminio Gualdoni, Alberto Fiz, Alberto Veca, Valerio Dehò, Raffaella Pulejo, Claudio Rizzi , Emidio De Albentiis, Gabriele Simongini, Matteo Galbiati, Caterina Corni, Riccardo Zelatore, Maria Pace Ottieri, Ettore Ceriani, Veronica Zanardi.
Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private.
Attualmente insegna tecniche pittoriche presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e special invited Professor presso Joshibi university of Art and Design in Giappone. Vive e lavora a Milano.
Pittura, tra illusione e materia
Le implicazioni della divulgazione dell’arte e dell’affermarsi della multimedialità pare stiano facendo perdere alla pittura la propria identità, legata all’immanenza, intrinseca alla superficie su cui si genera: dapprima muri di luoghi sacri, templi e chiese, e di importanti abitazioni quali castelli e ville; poi tele collocate negli ambienti più differenti.
Nel corso della storia la pittura si è delineata quale piano speciale, atto a generare e riflettere un’illusione.
Da qui l’antinomia che la caratterizza: l’essere al tempo stesso materia colorata su un piano, e realtà illusoria.
Il rapporto di coesistenza dell’illusione percettiva e della materia concreta che la genera è mutato nel corso della storia, sempre in bilico tra il contesto spazio-temporale in cui si andava a collocare, e la ricerca individuale del pittore che lo creava.
Ciò premesso, ritengo che il supporto costituisca un importante elemento di riflessione e speculazione all’interno della ricerca pittorica: il piano consente una fusione tra le forme organiche e la tradizionale geometria che ad esso si accompagna, che può trascendere l’immagine aprioristica.
Telai e tela non sono unicamente un supporto passivo della materia, bensì componenti intrinseche alla struttura di ogni singola realtà pittorica: le torsioni dei perimetri e le fenditure generano sulla superficie del dipinto tensioni che si percepiscono al limite della tolleranza del telaio, e aprono a una particolare libertà espressiva nel coinvolgimento dello spazio, conseguente al superamento dell’ortogonalità di rettangoli e quadrati.
L’illusione pittorica è strettamente connessa alla dimensione e alla forma del piano, della superficie, su cui agiscono colori e segni: se il piano si muove verso lo spazio esterno, la pittura lo accompagna, costringendo l’osservatore a una visione non solo frontale. L’intento è quello di creare tensione percettiva attraverso un’immagine fluida e coinvolgente, volta ad attivare lo spettatore. Su tale superficie agisce la materia pittorica, senza essere snaturata: la tela di lino che riveste il telaio rimane tale, visibile nella sua tinta e nella sua trama; i colori a olio rivelano le peculiarità dei pigmenti di cui sono composti, e la trasparente consistenza del loro legante.
Fare pittura significa interrogarsi, riflettere e meditare su sé stessi, sul senso della propria presenza. La pittura mi conduce in un viaggio interiore, e riflette lo stato della mia psiche. Sento il colore come vibrazione, opportunità di tradurre il pathos. Supporto e materia divengono un lato del mio corpo, che percepisce e subisce le pressioni dello spazio reale, come avviene in natura. Si congiungono due parti, corpo e pathos, forma e colore, immagine e materia.
La pittura mi conduce verso un punto, il culmine, in cui i due poli che si sono stratificati, materia e pensiero, trovano un equilibrio, e le parti si armonizzano. Devo prima però svuotarmi di ogni attaccamento, seguire il potere taumaturgico della pittura. Da quel punto, da quello stato, colori e materia si fanno instabili, scambiandosi vicendevolmente l’aspetto sulla superficie del piano pittorico, nella precarietà dell’immagine.
Mi considero un figlio di Cézanne, debitore a Ad Reinhardt, alla sua negazione e affermazione dell’arte, che pure hanno condotto la pittura in un vicolo cieco: la vera originalità si riscontra solo là dove tutti gli artisti lavorano all’interno di una stessa tradizione e dominano le stesse convenzioni (Art as art). Sulle orme di questi due importantissimi pittori cerco di mantenere viva una linea ontologica, capace di trascendere la riconoscibilità simbolica delle immagini per restituire alla pittura massima tensione e vitalità.
In quest’epoca segnata dalla velocità, figlia di uno sviluppo tecnologico rapidamente consumabile dalle masse, cerco il tempo nella visione, come se il momento creativo, attraverso l’autenticità dell’artista, fosse tecnica e poetica restituite all’osservatore mediante l’opera. Per questo difendo sfacciatamente la pittura, insistendo sul senso del fare pittura, sulla sua capacità di unire la presenza percettibile e quella oggettuale.
2-3-2020
Tetsuro Shimizu
2010 Tetsuro Shimizu
2010 – Contemplazione, T-17-olio su tela cm 90x60